Prima Parte
A’
FRESELLA
Si tratta di una
variante del pane, pezzato con modalità tali da consentirne una lunga
conservazione e fragranza che, il medesimo, alla lunga, non darebbe.
Prima di entrare nel merito del suo
confezionamento, puramente tecnico e spesso personalizzato, ritengo che
l’origine di tale prodotto, oltre ad essere di natura sicuramente casareccia,
sia nato dalla necessità di realizzare un pane alternativo per chi,
allontanandosi dall’abituale domicilio, per lunghi periodi, recasse con sé una
scorta viveri di difficile deperimento e, all’occorrenza anche modificabile nel
suo assetto originario (bagnatura per aumentarne il volume e renderlo di facile
masticazione per chi avesse precaria tale funzione). Non da poco è anche
l’assetto volumetrico che ne riduce sensibilmente il peso (importante per il
trasporto che un tempo era a spalla) ed il sapore ottenuto con l’utilizzo di
varianti sia aromatiche (uso del
finocchietto, sesamo, rosmarino o tipicità del territorio di confezionamento),
che nelle farine (miscelate, integrali, di solo grano, di farro, di orzo, di
mais, etc.).
Mi è sconosciuta
l’origine del nome datole dai nostri avi. Di sicuro non nasce dalla radice
“fresa”, di tutt’altro significato. Azzardo l’ipotesi che possa essere stata la
fusione delle varie culture impiantatesi nei tempi che hanno interessato le
dominazioni subite dal nostro meridione a sancirne una nominatività variata nel
tempo. Ma non è detto che sia un prodotto tipicamente meridionale, proprio
perché ritengo sia il frutto dell’intuito umano delle realtà contadine ovunque
sparse universalmente.
A noi interessa comunque
fornirne l’andamento della sua elaborazione specificamente “casareccia”, perché
quelle commerciali subiscono sicuramente un diverso processo confezionativo e
chi ne ha mangiato di diversa tipologia, conosce la differenza.
Considerato che le
immagini riproducono il prodotto già alla conclusione della fase di
lievitazione, è opportuno partire con
ordine, puntualizzando che la sua realizzazione è esclusivo appannaggio di chi,
oltre alla buona volontà d’esecuzione ed una naturale dose di pazienza,
necessità di un forno a legna, proprio o in prestito. Non escluderei l’uso di
forno elettrico o a gas, comunque utilizzati da chi dice di aver fatto il pane
in casa, con risultati finali sicuramente diversi!
I
n g r e d i e n t i
1
kg. di farina per panificazione (anche di grano duro)
Lievito
madre se in possesso o ¼ di cubetto (6 g.) di lievito di birra
Olio
evo da spennellare – acqua tiepida 500 ml
-Finocchietti
essiccati q.b. o altri aromi, oppure senza niente
25
gr. di sale
La proporzione dei
quantitativi ingredenziali è in relazione alla capienza del diametro del forno usato; personalmente ne conosco a partire
di 50 cm. interna. Col mio, essendo di
120 cm., non adopero mai meno di 4 kg. di farina, miscelando 3kg di tipo 00 ad
1kg di semola rimacinata di grano duro. (ne ho fatte anche di sola farina 00).
E
s e c u z i o n e
Considerato che il
possesso del lievito madre condiziona non poco il risultato finale, mi è
sembrata giusto fornire indicazioni utili ad arrivarvici, specie per chi non
conosce le modalità .
Sulla scorta dei
quantitativi su indicati occorre che, almeno 12 ore prima dell’impasto finale,
si faccia sciogliere in un opportuno contenitore il lievito di birra nell’acqua
indicata, unendo successivamente la farina a fontana ed ottenendone
un’emulsione semiliquida, che, dopo aver coperto con una pellicola, verrÃ
depositato nel vano frigo meno freddo. Si vedrà la lievitazione ad occhio che
aumenta anche di volume.
E’ bene rammentare che
nella panificazione, quando più lunga è la lievitazione, più leggero e
digeribile sarà il prodotto finale, e tutto questo è in stretto rapporto col
quantitativo di lievito di spinta. Un quantitativo di lievito di birra grande
quanto un fagiolo, fa lievitare anche 10 kg. di farina, ovviamente in tempi più
lunghi!
In un idoneo recipiente
o direttamente nella farina restante dopo avervi unito il sale occorrente,
posta a cerchio su una spianatoia, si verserà l’emulsione lievitata in
precedenza procedendo all’impasto definitivo ottenuto con l’olio di gomito(!).
Un lungo impasto è la regola per una pasta adeguatamente ossigenata!
Si fa riposare per una
mezz’ora, se ne toglie un quantitativo come una palla da tennis che servirÃ
come successivo lievito madre che potrà essere conservato anche in frigo fino
al prossimo uso, dopo di che se ne prendono dei quantitativi per formarne bastoncini
dallo spessore di 3 cm e lunghi più o meno
20 cm, che formandone cerchio si ricongiungono alle estremità con forza, per
poi essere schiacciati con il palmo della mano od un adeguato matterello. Ne
uscirà un disco con il buco. Se ne fanno a coppie, su una di esse va
spennellato l’olio, adagiandovi sopra l’altra non unta. Vengono così deposte in
maniera da farle ulteriormente lievitare per il tempo occorrente, in relazione
alla temperatura ambientale ove vengono
collocate. D’inverno si coprono, oltre al telo sottostante e di copertura,
anche con coperte di lana. Lo si fa di notte, mentre si dorme, proprio perché i
tempi saranno lunghi.
.Ora, da questo punto
parlano anche le immagini che ognuno può vedere direttamente, perché trattasi
di elemento già lievitato e pronto alla cottura.
Al momento dell’accensione
del forno mediante combustibile naturale, carta, cartoni, cassette da frutta
dismesse, assi di legno di lunghezza inferiori alla misura del forno, fascine
di rami potati ed essiccati; in genere, mentre il fuoco espleta la sua
funzione, fervono anche i preparativi di manufatti gastronomici da infornare (
secondi piatti e contorni) e non può mancare la nostra tradizionale pizza
casareccia, che comincia ad essere stesa nel suo recipiente e farcita a
piacere. Ma questa è un’altra storia.
L’operazione dell’ardere
del fuoco dura, all’incirca, un’ora e la sua resa definitiva la si può
osservare vedendo l’imbiancatura dei mattoni
di creta della parete circolare e della volta, oppure con la tecnica del
piccolo quantitativo di farina che si butta sul suolo (brucia immediatamente).
Successivamente il suolo viene spazzato con lo “scupolo” precedentemente
bagnato, perché non bruci a contatto con l’elevato calore in atto, per essere
ripulito dei residui dell’arditura (brace), precedentemente accostati ad un
angolo della parete, contribuendo così al mantenimento della temperatura costante del
forno medesimo.
Se per la cottura dei quantitativi eseguiti
occorre maggior spazio, viene intensificata
l’azione di arditura e la brace residua si estrae deponendola in
adeguato recipiente coperchiato che ne causa il graduale spegnimento (questo
avviene nel vano posto sotto il forno, delegato al deposito dei comburenti
legnosi). Si avrà così l’intera piattaforma cretosa del forno a completa disposizione
della cottura. Dopo di che si mette il coperchio alla bocca d’accesso al forno
tenendolo chiuso per circa cinque minuti, durante i quali, per un naturale
processo fisiologico, il fortissimo calore immagazzinato nei mattoni di creta
comincia la sua graduale e lenta discesa nel volume aereo del manufatto
(calata).
Di sicuro, come si vede
nell’immagine non manca mai l’amatissimo “pignatiello” colmo di fagioli secchi,
messi 12 ore prima a spugnare nell’acqua, per poi accostarlo alla brace
ottenuta e seguirne ovviamente la cottura.
Le freselle (come il
pane) gia lievitate (“cresciute”) vengono rapidamente infornate con la pala
(panara), tenendole chiuse in forno per il tempo iniziale di circa un’ora,
osservandone la coloritura di cottura.
Quando questa risulta
eseguita, si estraggono dal forno per essere separate a mano, coppia per
coppia, (operazione questa non priva di scottature se non eseguita con guanti
protettivi);
ad operazione ultimata
si ripongono nel forno con l’evidente dorso chiaro rivolto verso l’alto perché
il calore continui la funzione di disidratazione ed essiccazione di ciò che
appariva come una sorta di focaccia (“ ‘ntarallatura”…da tarallo)
fino a diventare un
disco di pane estremamente friabile.
Quando si avrÃ
un’efficace doratura, evidentemente rappresentata anche dal naturale rompimento
da stracottura, le freselle vengono tirate fuori dal forno perché raffreddino.
Nel nostro territorio,
oltre alla semplice e naturale commestibilità derivante dallo sfizio di
mangiarle secche, per avvertirne la frantumazione tra i denti, ne viene eseguita una
bagnatura in rapida immersione per renderle più morbide, senza
escluderne la friabilità , e condite con olio crudo, origano e pomodori, ridotti
a dadini, precedentemente conditi. Ma qui la fantasia gastronomica la fa
da….padrona! Significando che ognuno le usa come più aggrada.
Ancora una volta, questa
lunghissima descrizione dimostra che…..sono più facili da farsi che da
descrivere!
All’opera dunque, armati d’impegno, volontà e pazienza per un
soddisfacente……Buon appetito!